AL VAGLIO CON LO SBAGLIO

L'eremita non è certamente una persona perfetta, è fallibile e soggetta alla propria e altrui fragilità. Questi condizionamenti poi nella città si moltiplicano, in quanto le situazioni di pubblicità e di inganno si fanno più numerose e più forti che mai. Per questo, rispetto all'eremitaggio del deserto, quello della città è soggetto alle più disparate tentazioni e agli sbagli del soggetto in cerca di vita eremitica. Ma non per questo l'eremita deve scoraggiarsi, anche di fronte alle sue cadute e sconfitte; anzi, deve trarre riflessione per fare come una convergenza della sua missione e dell'identità propria e della stessa città. Ogni sbaglio rivela infatti la possibilità di crescere e rafforzare la muscolatura della mente, del cuore e dell'animo dell'eremita. Ogni errore diventa un filtro e un vaglio per poter procedere con più umiltà, con più dedizione e passione, ricordando sempre che la fedeltà alla vocazione dell'eremitaggio in città non viene dall'eremita, nè dalla città, ma dal mistero stesso dell'eremitaggio, che fa da calamita ogni volta che per fragilità la missione allontana l'individuo in ricerca e la città stessa dalla loro originaria e naturale identità. Il supporto a questa fedeltà che viene da fuori e alla passione che viene da dentro l'eremita sia comunque e sempre la ricerca umile e gioiosa del cammino quotidiano che l'eremitaggio regala ogni giorno a tutti: a lui, alla città, al mondo.

NON INVADERE CHI FA EREMITAGGIO

L'eremita di città può imbattersi in chi lo imita e fa esperienza di eremitaggio nella città; lui deve rispettare questa scelta, e tirarsi indietro, con umiltà, e lasciare che altri prendano il suo posto e la sua condizione. I doni dell'eremita infatti non gli sono dati sempre per essere applicati, ma alcune volte per essere lasciati in balia di altri e di altre situazioni. L'eremita di città, umanamente, resterebbe alquanto deluso, ma dal punto di vista di un mistero superiore, riconosce che la sua rinuncia è in vista di un dono rivolto ad altri, proprio attraverso la sua rinuncia. All'eremita insomma vengono dati doni non per essere espressi, ma per rinunciare ad essi in favore di altri, e questo è proprio è un segno di umiltà e di affidamento alla volontà di colui che tutto regola. Il sogno di una umanità migliore passa attraverso la rinuncia e la possibilità di affidare tutto all'altro e alle cose che passano per la città. Ritirarsi dalle possibilità che hai per dare all'altro una tua possibilità è una scelta di missione di eremitaggio che dalla rinuncia fa passare alla scelta migliore, sapendo che quello che hai rinunciato per l'altro diventa per te crescita di miglioramento di accrescimento di identità e di missione rinnovante rinnovata. 

NON DISDEGNARE (QUASI) MAI

L'eremita di città non si lasci ingannare nel lasciar perdere segni, proposte, situazioni o persone che lui ritenga inutili, perditempo, già note, ripetitive o alle quali è già abituato. No. Disdegnare queste occasioni non è sempre cosa buona, anzi; lo sguardo penetrante dell'eremita sulla città deve radiografare bene la situazione, e cogliere tutte quelle realtà che gli si confanno, partendo proprio da quelle suddette. Passare a livelli superiori non è sempre valido, anzi, rischia di creare giudizio, avvallare il pregiudizio mondano e accrescere la superbia dell'eremita stesso. Quindi, da un lato dobbiamo dire: non disdegnare situazioni di quotidianità e di banalità. Dall'altro, dobbiamo anche dire che qualche volta lo sguardo attento e radiografante dell'occhio dell'eremita di città scorge in alcune di quelle situazioni una asintonia di fondo, quindi le occasioni in questo caso sono veramente da disdegnare. Un esempio possono essere inviti a incontri culturali, ma basati su parole senza dialogo e confronto autentico. L'eremita non si lasci trascinare da questi falsi miti che nascondono solo interessi umani in crescita fini a se stessi, disdegni la sua presenza. Distinguere la vera dalla falsa quotidianità, l'ipocrisia nascosta nelle occasioni di bene, il bene chiuso fine a se stesso da esibire, questi sono criteri per cui dire: qualche volta disdegno anche ciò che per la città è bello, vero e degno.

DIVIETO DI SOSTA?

L'eremita di città se è vero che non deve lasciarsi trascinare dal tram tram della stessa, ha anche il dovere e la missione di fermarsi, sostare e non aver timore di perdere tempo quando incontra occasioni per crescere nella propria esperienza e nell'umanità per sè e per gli altri. Questa sosta richiede una certa esperienza, che avviene con l'esercizio continuo di uno sguardo prudente, lungimirante e attento ai comportamenti incontrati da altri o da situazioni che gli vengano proposte o che gli capitano di fronte. Richiede anche prontezza nel valutare l'occasione, al fine di non perdersi nei meandri di discussioni inutili e dannose, che spesso sfociano in pettegolezzi o in superficiale allegria, cose non adatte all'eremitaggio. La sosta potremmo definirla come un bar spirituale e umanizzante, che magari si collega anche al fermarsi in un locale di questo tipo. L'eremita di città non deve temere nè bar, nè negozi nè mercati, nè situazioni di ritrovo; ma la sua priorità non sia mai il sostare, ma il passare, anzi l'oltrepassare in tutte queste realtà. Solo così manterrà integra la sua missione, la sua identità, la sua libertà, e aiuterà gli altri e la città a vivere questi valori. Più che avere paura di un divieto di sosta, l'eremita deve imparare a vivere il diritto e il dovere di sosta, per sè e per gli altri. Una sosta che quindi accrescerà il senso dei diritti e dei doveri dell'eremita e della intera città.

COLTIVATORE DI FUNGHI?

L'eremita del deserto ha nel suo percorso segni inconfondibili e ben visibili anche all'ottica umana; ma l'eremita di città non deve seguire quest'ottica dei segni evidenti, perchè sarebbe trascinato e ottenebrato proprio da quei segni nel suo percorso e rovinerebbe così la sua missione e la sua stessa identità. I segni della città confondono e creano caos, mentre quelli del deserto sono essenziali e formativi al primo achito. Per questo occorre nella città lasciarsi guidare dai segni non convenzionali e avere uno sguardo discernente e discriminante, proprio come se l'eremita fosse un cercatore di funghi, da invidiare sotto il manto dell'erba e del muschio. Uno sguardo da esperto, appassionato e considerando questi segni come segni di amore. Sì, proprio dalla città caotica, sotto il manto superficiale e caotico, stanno nascosti in attesa di essere colti segni non convenzionali e non assimilabili alla mentalità della città stessa, e che proiettano l'eremita nell'oltre, nella dimensione dell'al di là, e aiutano la città ad assumere questa nuova dimensione, che potremmo definire come il vero e unico progresso umano. Ecco perchè l'eremita vive nella città con amore, con passione e devozione: non solo perchè questa è la sua missione, ma anche perchè la città è la sua amante, quella che le è stata destinata per vivere appieno la sua missione, trascendendo poi da essa verso il vero amore universale ed eterno, là dove la città e il suo eremita hanno il loro stesso ed eterno destino.

TURISTA

L'eremita nella città non si deve affatto presentare con la serietà che spesso contraddistinguono le persone spirituali. No. Lui deve atteggiarsi nel suo passaggio come un turista, uno di passaggio che vede le cose e le persone come se mai le avesse viste, che si sa sorprendere e che sa apprendere come fosse la prima volta, anche le cose le conosce già. L'atteggiamento dell'eremita non è affatto quello della superiorità e della serietà, ma quello della serenità e dell'accoglienza: delle cose, delle persone, delle situazioni che la città gli offrirà di volta in volta. Guai se si fermasse e si stabilisse in una particolare situazione, anche la più bella! Come l'eremita del deserto, lui deve essere un nomade, un pellegrino, un turista appunto, in questo caso. Solo così darà occasioni e sarà occasione di serenità per sè e per tutti. E non deve stancarsi mai, come turista, di fare il tour quotidiano nella sua città, come a dire: son già stato, son già passato di qua. No. Deve ripetere con lo spirito del turista il suo giro, il suo tour, per rivedere, riprogrammare, sorprendersi e sorprendere, ricevere e dare novità, lasciarsi forgiare dalla città, che nel suo spirito originale, se affrontato con la mentalità del nulla, darà a se stessa e all'eremita un'energia nuova e rinnovante per il progresso umano e umanizzante di ogni cosa.

IL NULLA COME GUIDA

Per l'eremita di città, diversamente da quello del deserto, scegliere sempre il quotidiano vivere in base alla mentalità del nulla è faticoso, esercizio di pazienza e di discernimento meticoloso. Infatti lui può avere a che fare con tutto e con tutti, avere anche per sè cose e situazioni essenziali e importanti, ma non si deve mai attaccare a nulla di queste cose. E il nulla non corrisponde affatto con il niente! Il niente è così di fatto, mentre il nulla è azione che annulla tutto quanto ciò che non serve alla identità dell'eremita e della sua città. Il nulla annulla, ma anche dà il senso e l'essenza dell'identità. Per questo, la mentalità del nulla deve dirigere tutta l'azione, il pensiero e la parola dell'eremita. Il nulla è la guida di tutto, del quotidiano, del destino, della provvidenza e della previdenza, per cui ogni problema e possibilità si annullano in quel tutto che ogni cosa e situazione ingloba e riceve, trasformando il opportunità tutto quanto, anche ciò che apparentemente non ha valore o senso. L'annullamento permette la ricrescita naturale, originale e sensata, quella essenziale al progresso dell'eremita e della intera città. La mentalità del nulla non contempla l'avere niente, ma permette di avere tutto senza attaccarsi a niente, per permettere al nulla di agire come anima, senso, orientamento e spirito del tutto, di ciò che c'è e non c'è, di ciò che si ha e non si ha. Il nulla è un mistero che dal niente sorge e anima tutta la storia: quella dell'eremita nel suo progresso di crescita spirituale, umano e sociale, e quello dell'intera città e società, che nel cammino di decrescita verso il niente può risorgere verso il nulla che è la sua anima e l'anima del mondo.

RINUNCE E SCELTE

L'eremita di città non deve confondere la sua rinuncia e le sue scelte di privazione a tal punto da ridursi ad essere identico all'eremita del deserto in questi aspetti. Se nel deserto val la pena rinunciare a tutto o quasi, e a scegliere di arrivare al nulla di fatto, per la città l'eremitaggio ha una connotazione diversa. Il punto è abbastanza delicato e va affrontato dall'eremita con la propria coscienza e rispettando nelle scelte e nelle rinunce la propria capacità acquisita durante la sua esperienza in atto e la propria coscienza alla luce del mistero dell'eremitaggio stesso. La città inoltre, bisogna considerare, non è affatto un luogo negativo dal quale fuggire e abbandonare ogni cosa in essa. Alcune cose e persone, alcune situazioni si confanno con la crescita dell'eremita della città. Ad esempio, un uso corretto e responsabile dei mezzi di comunicazione quali il quotidiano, la televisione, il computer e l'incontro con gruppi di ricerca e di cultura che valorizzano l'umanità della città non vanno assolutamente disdegnate, e se assunte in sintonia con il percorso eremitico non rovinano affatto, anzi rafforzano l'energia del cammino di una solitudine illuminata proprio da questi mezzi del progresso. Se da un lato essi, come già rimarcammo, sono una forte tentazione a recedere, dall'altra possono costituire anche una grande possibilità a procedere. Rinunce e scelte totali, se nel deserto appaiono chiare, nella città rimangono tali anche con questi accessori e situazioni, perchè non si tratta di cose o persone da avere o lasciare, ma di una mentalità, quella dell'eremitaggio, con cui anche alcune di queste cose e persone hanno senso, diritto e dovere a che fare. La scelta e la rinuncia di esse inoltre accrescerà il dono del discernimento che la città regala in questo modo all'eremita e ai suoi cittadini.

SOPPESARE

Mentre nel deserto l'eremita non deve pesare altro che il nulla di fatto, nella città l'eremita ha da soppesare ogni cosa o situazione che incontra. Non si tratta affatto di giudicarla, intendiamoci subito: lui deve solo sentirne il peso nel valore, nell'efficacia e nella sintonia con il proprio eremitaggio, che poi è la base della vita della città del futuro. Egli stesso è come una bilancia vivente, e là dove passa o dove incontra qualcosa o qualcuno sente, percepisce, gusta pure l'essenza delle realtà, e indirettamente il suo passaggio le conferma, o anche le trasforma, se esse si trovano in situazione di apertura, di accoglienza e di disponibilità reale. Ogni cosa incontrata dall'eremita viene illuminata e quasi radiografata, per essere assunta, o per essere lasciata; e questo non per un suo intervento diretto, ma per una situazione a specchio che quella cosa o persona riceve da se stessa su se stessa. L'eremita è uno specchio di fronte al quale tutto riflette, apparendo per quello che è, e quindi potendo diventare quello che potrebbe essere in verità. Il metro di misura del peso è la semplicità, la naturalezza e la verità delle cose, che una volta soppesate e valutate, fanno recedere o procedere la città e l'eremita stesso verso la disumanità o l'umanità. Per questo l'eremita - specchio e ago della bilancia - sa pur mantenendo il sorriso, di avere una enorme e seria responsabilità nei confronti del destino di se stesso e di tutta quanta la città. 

IL PROCEDER PIANO

Pare impossibile, in una città dove tutti e tutto procedono freneticamente, la missione dell'eremita nel procedere piano, in modo saggio ed equilibrato. E non parliamo solo del camminare dei passi, ma dei passi frenetici della mente, del cuore, dei comportamenti, delle parole, dei gesti, delle cose che succedono e si accavallano. L'energia dell'eremita proviene proprio dall'andar contrario, a mo' di elastico tirato, che prende forza per slanciarsi in bilanciamento, in equidistanza, in una posizione di passo saggio e calibrato. L'andar contrario, o meglio controcorrente richiede coscienza, sacrificio, pazienza, e l'accettare con umiltà la tanta delusione nel sentirsi e vedersi escluso dal cammino di tutti e nel procedere di ogni cosa. La profezia del proceder piano per la città è incompresa, denigrata e accantonata. Ma l'eremita sa di dover andare avanti con questa sua missione, sa di essere nella città senza mai essere della città, ma come segno, richiamo e guida, suo malgrado, non per i propri meriti, ma perchè lì è stato posto e lì deve testimoniare il meglio per sè e per la città. L'eremita lascia che le compagnie lo superino in cammini di esperienze mondane, in passi di modernità materiale, in brillantezza di intelligenza umana; ma poi, con il suo atteggiamento, sa che lui li attenderà al varco della storia, quando tutto passerà, e resterà solo il segno che l'eremita teneva stretto alla sua vita: l'equilibrio della serenità per tutta la città. 

IL VIVERE DI COSE

Se la tentazione dell'eremita del deserto può essere quella di esagerare nella scelta di vivere senza le cose, senza niente, quella dell'eremita di città, sommerso ogni giorno da migliaia di cose, è quella di lasciarsi indurre a vivere di quella o di quell'altra cosa, che condizionano così le sue scelte di vita, deformando l'eremitaggio e tenendolo in ostaggio della realtà che brilla: la pubblicità. L'eremita di città ha bisogno di una energia superiore a quella del suo collega del deserto, perchè se quest'ultimo deve solo lasciare di sua scelta cose già conosciute e sperimentate, lui è tentato dalla novità, dalla curiosità del non conosciuto, dall'impulso della ricerca istintiva e del conoscere immediato e che lo coglie di sorpresa in un'atmosfera di tentazione a 360°. Il vivere delle cose inoltre è una dimensione già programmata dalla natura umana, per cui l'eremita di città deve forzare se stesso non tanto per andare "contro natura", ma per uscire dallo schema naturale del suo rapporto con le cose e le situazioni e andare "oltre". Se nel deserto avviene sopratutto una introiezione per andare oltre, in città l'eremita deve vivere una proiezione della mente, dell'animo e del cuore per superare se stesso e andare nella dimensione del romitaggio oltre il terreno stesso, al di là della dimensione materiale, che non è tanto un aspetto al quale rinunciare, ma un trampolino di lancio sul quale porsi per lasciarsi elevare in quella dimensione "oltre" che lo attende al di là di ogni attesa, aspettativa e comprensione. La città diventa così il razzo propulsore per l'eremita, per scoprire e far scoprire il mondo al di là della città.

PASSANTE OLTREPASSANTE

L'eremita passa in città, ma deve sempre tener presente che è proprio il passaggio il suo stile, e mai il fermarsi e la stasi nelle situazioni, anche le più belle e affascinanti. Ed è difficile oggi resistere alla pubblicità della città, che invita a fermarsi a una situazione, per avere, potere, e godere appieno di questa o quella realtà presentata lì, davanti agli occhi. Il passaggio dell'eremita tra la gente della città deve rimanere tale, anche quando accosta amici o compagni di cammino. La tentazione di stare, di giacere in compagnia, di non stare da solo a vivere le emozioni è sempre più forte, ma deve ricordare a se stesso che lui è segno di un passaggio: di se stesso, degli altri e delle cose. Con il suo passare oltrepassando e non fermandosi nelle cose, mostra che tutto passa, tutti passano, anche negli affetti più cari e nelle parentele più strette e nei possedimenti d'ogni tipo. Passare oltre non è rifiutare la città, ma mostrare che tutto è relativo, che non c'è nulla di assoluto nella città umana, ma tutto sta oltre, e solo là c'è assolutezza. Passare oltrepassando inoltre permette di vivere in modo giusto, equilibrato, mai esagerato e attaccaticcio ogni relazione con le persone e con le cose. Il senso del passaggio fa vivere la città in modo sereno e con il valore nè più nè meno di quello che è: una realtà di passaggio. Evitando fanatismi, settarismi, divisioni e assolutizzazioni, l'eremita passa oltrepassando e mostrando alla città ciò che sta al di là di essa e di tutti, e per cui ognuno e ogni cosa vive.

DESTRUTTURATORE

In una città che produce a iosa strutture artefatte, l'eremita è chiamato a fare azione contraria, facendo ritornare le realtà al loro valore e senso naturale e non artefatto artificialmente seguendo la logica del consumismo e del materialismo. Per cui, possiamo dire che il suo compito è proprio quello di destrutturare, togliendo gli accessori artificiali e le strutture che non si confanno all'umano. Ogni struttura è creata con blocchi di sicurezza e solidità estrema, per cui l'azione dell'eremita deve essere attenta e paziente, per trovare in questa destrutturazione la possibilità di individuare il bandolo della matassa, ovvero il tallone d'Achille della struttura artefatta a immagine di una falsa città. Non si tratta affatto di demolire, ma di far emergere dalla gabbia le cui sbarre vengono tolte il meglio, l'identità della vera e propria città come dovrebbe essere: a misura di umanità. Ogni struttura che pur bella ma grava su questa identità e la deforma, deve essere tolta. A specchio, potremmo anche dire che l'eremita, riconoscendo una struttura della città come inadatta, non fa altro che togliere anche da se stesso le strutture mentali che si è lasciato costruire e che lo rovinerebbero nella sua identità, togliendo via da sè anche tutti quegli accessori che rendono inutile e deformante la sua missione nella città. Destrutturando, l'eremita e la città si avvicinano in un incontro di verità, umanesimo e serenità che offrono a tutti la speranza per un mondo migliore.

UOMINI SOLI

L'eremita di città vede in essa degli uomini famosi, dei superuomini della città, ma vede anche la loro solitudine. Sono uomini soli, lasciati da tutti, anche se vivono in mezzo alla massa umana della città. Persone speciali, ma proprio per questo isolate da tutti, che non ne possono (o non ne vogliono) condividere il sistema di vita. Ebbene, proprio da qui la considerazione di questa solitudine negativa fa fare all'eremita la sua riflessione di vita, per il suo percorso. Lui è chiamato a essere uno degli uomini soli, sì, proprio anche lui. Ma la sua solitudine, questa volta, non è affatto negativa, tutt'altro! E' estremamente positiva e rinnovante per se stesso e per la sua città. Lui infatti fa parte degli uomini "soli": che fanno da sole, con la loro solitudine illuminata e illuminante, a tutti e al mondo della città. Imparare a essere soli è un esercizio che l'eremita dapprima vive con fatica, in quanto staccarsi dal solito tram tram della vita della città e delle sue relazioni dispiace e pare una perdita... Ma dopo un po', ecco che appaiono i risultati: l'eremita brilla e fa brillare la sua solitudine illuminata e illuminante come richiamo di saggezza, di umanità e di risveglio di se stesso e della città. La solitudine in perdita si trasforma in solitudine in crescita, da solitudine isolante a solitudine aggregante; da solitudine tenebrosa, a solitudine luminosa; da solitudine perdente, a solitudine vincente. Essere soli può essere una sconfitta di vita, oppure una scelta dell'eremita, che fa riprendere alla città e a se stesso saggezza, luce, serenità, gioia, e vita! 

RACCOGLITORE

La città per l'eremita è un grande invaso, un serbatoio artificiale da dove l'eremita raccoglie elementi e li rende naturali, riportandoli alla propria origine e originalità. E' tornare a riprendere il cuore antico della città, e questa è anche la base per il progresso di una vera modernità, proprio perchè il futuro della città (e dell'eremita stesso) ha un cuore antico, da risvegliare, da raccogliere dall'inconscio e dall'invaso nel quale era stato abbandonato. Raccogliere dalla città il fior fiore, proprio come raccogliendo i fiori, per risvegliare la bellezza e il fascino del vivere insieme. L'eremita raccoglitore si sente di essere insieme, in comunione di vita con la città e con i suoi abitanti. E anche essi lo accolgono, e lo raccolgono nelle sue cadute e nei suoi momenti di crisi e di ripensamento. E' un aiutarsi reciproco in questo "raccoglimento" fatto non di concentrazione o di meditazione, ma di realtà concrete, gioiose o sofferte, ma raccolte per essere vissute e rivissute insieme. Il raccogliere è per l'eremita e per la città un chinarsi, tutto il contrario dell'emergere che viene oggi propugnato come la mossa vincente del progresso. Un chinarsi amorevole per cogliere a vicenda l'un dall'altra, il meglio da condividere per entrambi. Raccogliere è anche accogliere, oltre che cogliere, e senza pretese nè pregiudizi, senza sotterfugi e ricatti, senza particolari esigenze o condizioni. Raccogliere è atto di amore gratuito per il progresso umano dell'eremita e della sua città.

SORPRENDERSI

In una città dove tutto è assodato, ripetitivo e dato per scontato, ecco il semplice ma grande compito dell'eremita: sorprendersi, e quindi sorprendere a sua volta. La sorpresa riguarda proprio tutto quello che sta in città: da un lampione, a una strada, a una buca nel terreno, a una panchina, a un crocevia, a un attraversamento, a una casa,... e riguarda anche gli atteggiamenti delle persone: da un saluto, a un gesto, a una parola, a un sorriso, a uno sguardo, a un atteggiamento gentile e educato,... La sorpresa alla fin fine fa sorprendere la stessa città, che si scuote come a un risveglio di apprezzamento per ciò che aveva dimenticato o considerava inutile e futile. La sorpresa stessa di avere un eremita in città, per la città è un risveglio di atteggiamenti sorprendenti e inaspettati, che infondono gioia e speranza nell'anonimato e nella nebulosità del procedere quotidiano. La sorpresa è anche quella dell'eremita che con sorpresa scopre sempre nuovi aspetti e atteggiamenti per la propria identità cogliendoli proprio nella città, che diventa come un baule che racchiude le magie le più semplici ma anche le più efficaci. Sorprendersi insieme, per l'eremita e per la città, diventa un connubio favoloso e ricreativo delle persone, delle cose, dell'eremita e della città.

STARE IN AGIO NEL DISAGIO

L'eremita di città, percorrendola, potrebbe trovarsi a disagio quando incontrando qualcuno con cui dialogare o trovandosi in qualche incontro su argomenti vari, si sentisse escluso per il suo stile del discorrere con altri. Qualche volta argomenti lontani da lui, o superficiali, o trattati con la mentalità della città, o addirittura contrari alla sua etica, potrebbero anche scoraggiarlo. No. L'eremita di città deve stare lì, nel discorrere altrui, sentendosi non solo a suo agio, pur non condividendo il modo di dire o gli argomenti, ma anche avendo coscienza sempre più dell'urgenza del suo compito, che è anzitutto mettere umanità e umanizzazione anche nelle realtà le più disgustose, lontane o contrarie. Ma a volte anche in quelle vicine al suo modo di sentire potrebbe sentirsi escluso e messo un po' in disparte, in quanto gli argomenti sono trattati con stile aureo e con parole vuote e spumeggianti ma senza concretezza di fatto. Anche qui, il compito dell'eremita, senza mai sentirsi a disagio, ma richiamato con urgenza a porre il suo tocco semplice ma efficace, diventa quello di concretizzare in modo naturale, semplice e umano quei discorsi troppo spirituali e lontani dalla città. Mettere a suo agio la città, questo è il suo compito, nei suoi confronti. Mettere se stesso sempre più a suo agio nella città, senza mai rinunciare ad essere quello che è: eremita. 

VAGAR SENZA META

Se il vagar senza meta appare essere prerogativa dell'eremita del deserto, in effetti si riversa in modo positivo e propositivo anche per l'eremita della città. Vagare senza meta può apparire, e forse lo è, di primo acchito, come perdita di tempo e di occasioni, ma se ci facciamo meglio caso, questo atteggiamento è indice di libertà, di gratuità, di sorpresa e di non condizionamento. Vagar senza meta è in città affidarsi al destino e al caso, che ti fanno incontrare, ora qua, ora là, ogni tipo di diversità, stimolando l'eremita ad aggiornare la propria situazione e predisponendolo ad ogni tipo di relazione. Vagare senza meta è non calcolare, non attendersi cose già stabilite e predisposte, è affidarsi a una provvidenza della vita mai conosciuta e sempre più misteriosa, ma anche appetitosa nella sua ricerca. La meta, in effetti, se da un lato la raggiungi, in tanti casi, in questo invece diventa sempre nuova, si riparte da zero, si resetta il cammino, si lascia all'altro o all'altra situazione che è poi la vita a decidere, a proporsi per te. L'eremita si allena a vedersi rinnovare nelle mete che cambiano, e che lo cambiano in meglio. Imparare a perder tempo a vagare nella città, per l'eremita e per la città diventa una scuola egregia di gratuità, un dono continuo che il tempo che è dato gratis richiama nel vagare di un eremita alla ricerca della città, e della città alla ricerca del suo eremita.

NON SOLO PAROLE

In mezzo a tutto il chiacchiericcio della città, l'eremita è invece chiamato a non utilizzare come fanno tutti attorno a lui le parole innanzitutto, ma a entrare nel vivo della situazione con altri strumenti. Possono essere segni, la sua sola presenza, lo sguardo, l'ascolto. Sono le dimensioni che l'eremita della città prende a prestito dall'eremita del deserto, immettendo con questi strumenti insoliti la novità e il rinnovamento di se stesso nel cammino del suo essere in città, e il progresso della città in simbiosi con il progredire dell'eremita stesso. Non solo parole, ma sguardi che mancano in una città dove gli occhi si evitano tra le persone, magari sempre più ammirando gli animali, ad esempio i cani condotti a passeggio. Oppure ammirando la natura negli spazi verdi dei parchi, sempre più presenti, dimenticando la naturalità e la naturalezza degli atteggiamenti. L'eremita è chiamato ad attraversare la città in queste nuove e rinnovanti modalità, che ridonano energia a tutto e a tutti. Porsi come segno è un altro degli atteggiamenti che l'eremita in città può vivere, offrendo con il suo portamento e comportamento uno stile di vita sobrio, naturale, sincero e accogliente, in una città che sempre più tende a schivare e evitare l'incontro come possibile trappola di disumanità. L'ascolto, infine, può essere un altro atteggiamento, dove più che le parole da ascoltare l'eremita dona il suo tempo nell'ascoltare i bisogni e le situazioni attorno a lui, riscoprendo così il tempo della grazia, della gratuità, il gratis che nella città consumista pare non abbia più senso. Non solo parole, ma fatti, quindi. 

DARE SERENITA'

L'eremita di città è chiamato a darle sempre e soltanto serenità. Ogni incontro, ogni situazione, ogni occasione deve essere oggetto di esprimere e trasmettere serenità. Dare serenità alla città per l'eremita è di vitale importanza, anche perchè ogni goccia data in questo senso ha un valore che si riversa a pioggia sull'identità dell'eremita e sulla sua stessa serenità, arricchendola sempre più. In una città dove il pessimismo e le nebulosità regnano sempre più, la vera rivoluzione è proprio offrire uno spiraglio di fiducia, di speranza, di pace e di serenità che possa ricreare il tono del cammino quotidiano. Per l'eremita di città il percorso del dare serenità è sempre impervio e difficile, in quanto la mentalità e l'azione corrente quotidiana è sempre più pesante, pedante e portata a vedere il grigiore e il negativo delle situazioni. Dare serenità presuppone di averla e di coltivarla, e per questo l'eremita di città deve sapersi avvalere di momenti di silenzio, di meditazione, di raccoglimento e di stasi equilibrata, per ricaricare quelle energie che altrimenti non avrebbe e andrebbero ben presto in emorragia. Dare serenità inoltre richiede all'eremita di città di rifarsi a modelli che siano oltre, fuori dalla città stessa, in ambienti simili al deserto e alle situazioni equivalenti; e qui, eremita del deserto e quello della città si danno quasi appuntamento, per rischiarare per entrambi il riferimento a modelli e stili di vita che possano ricevere e trasmettere la serenità del deserto alla città, e la ricerca di serenità della città al deserto. Eremita di città e di deserto, in questo ambito, non solo altro che due gemelli. 

IL TOCCO DEL CUORE

L'eremita di città non deve fare chissà che cosa, anche perchè di cose da fare la città ne è piena, e nemmeno deve incontrare chissà chi, o avere a che fare con particolari situazioni in quanto eremita. No, no. Lui invece ha un compito molto molto importante per sè e per la città: mettere il cuore in ogni cosa che tocca, o meglio, avere il tocco del cuore in ogni cosa che gli viene incontro e nella quale si imbatte, che sia una situazione o una persona. La città infatti si sta decuorando a vista d'occhio e richiede l'intervento di colui che porti un tocco di amore come un battito del cuore, che possa risvegliare il miglior sentimento sopito o coperto dalle situazioni della mentalità della città. L'eremita deve portare in ogni dove il tocco del cuore. Del suo, da una parte, recando attraverso la sua persona il raggio di amore e di vita per la città. Della città, dall'altra parte, che ha in sè un tocco originale, ma dimenticato e trascurato, e che va risvegliato, ma c'è già al cuore della stessa città, che attraverso l'eremita può riemanare il tocco del cuore come un raggio di luce per ogni persona di buona volontà, e che sia disposta ad accoglierlo, a viverlo e a trasmetterlo. Il tocco del cuore è come un tintinnio quasi impercettibile all'udito, ma rintracciabile nello sguardo, nella capacità dell'ascolto, nel tempo dedicato, o anche solo nella presenza. L'eremita, già solo con la sua presenza amorevole nella città suscita il tocco del cuore, e si lascia toccare da una città che gli ridona in cambio amore, solidarietà, compassione e comunione di vita. 

MAI NEL FUTURO!!!

La grande tentazione di chi vive nella città è quella, tra le altre, di avere lo sguardo rivolto al futuro. Previsioni, progetti e timori che si prospettano oltre il presente. Per l'eremita della città, questo non vale assolutamente. Egli deve pensare, parlare e agire nel presente, dimenticando di avere un futuro, come se tutto per lui e per la città fosse solo lì e subito, non oltre. Il futuro futuribile è una grande e illusoria tentazione per la città e per l'eremita, che rischiano di evadere dalla situazione che hanno di fronte, per rifugiarsi in una illusione e in una situazione che non competono loro. Infatti, l'eremita è la persona presente nella città, e che invita la stessa ad affrontare il presente senza volgersi altrove, nemmeno ai progetti più originali e alle prospettive le più allettanti. La politica del presente è sempre evasiva, e la sua evasione la si giustifica con l'avere progetti per il futuro; ma l'eremita richiama la città alla presenza effettiva ed efficace dalla quale non deve svincolarsi mai, se non vuol perdere la propria identità. Eremita e città devono essere sempre presenti e coscienti della situazione del momento, per agire in modo tempestivo, concreto e efficace di fronte a ogni situazione e bisogno. Certo non si otterrà la perfezione e la completezza, ma certamente la situazione presente affrontata dà la garanzia alla città e all'eremita di essere al pieno delle proprie funzioni e nel meglio della loro identità, che sfuggirebbe loro se si avventassero nel futuro e nelle progettazioni al di là di ciò che c'è qui e ora. Non uscire dal futuro è non uscire dalla città, nè per la stessa, nè per l'eremita che voglia rimanere nella propria identità. 

NON VORREI NESSUNO MA QUALCUNO MI VUOLE

L'eremita di città, a un certo punto, potrebbe giungere alla stessa situazione dell'eremita del deserto: quella di isolarsi da tutti e di non volere avere a che fare con nessuno, ritenendo che la città offre incontri a bizzeffe, ma sono tutti superficiali, passeggeri e poco validi per la crescita dell'eremita e della città. Invece, per l'eremita di città, occorre ricordare che se è vero che la città da una parte offre incontri di poco valore e tendenti alla superficialità, dall'altra richiede all'eremita proprio in quanto presente nella città di accogliere non chi lui vuole o cerca, ma chi gli chiede un incontro, considerandolo un inviato dalla città come segno, stimolo e richiamo all'eremita per accrescere se stesso e il progresso umano della città. Dopo tanti incontri in città, dove l'eremita passa e si imbatte in migliaia di persone e situazioni, la tentazione di non voler vedere nessuno si fa sempre più forte e impellente, ma lui deve ricordare a se stesso che non sta in un deserto dove non c'è altri all'infuori di se stesso, ma in una città, dove qualcuno vuole uscire dal solito tram tram e crescere in umanità. Per questo, se da un lato lui svalorizza migliaia di incontri per la crescita di sè e della città, dall'altro è chiamato ad accogliere chi da lui si fa sentire con un richiamo specifico e oltre la banalità. Lo sguardo attento dell'eremita deve saper cogliere non più chi lui vuole, ma chi la città - la sua maestra di eremitaggio - gli invia per essere incontrato, aiutato, ascoltato e umanizzato al meglio.

DONI DATI PER RINUNCIARVI

In una città sono tante le occasioni e le situazioni che danno all'eremita l'occasione di manifestare le proprie capacità e esprimere i suoi doni. Ma assecondare queste opportunità non è cosa scontata nè deve ritenersi cosa assodata da parte dell'eremita. La vita dell'eremita in città - diversamente da quella dell'eremita nel deserto - chiede di non approfittare nell'assecondare le situazioni della città: i doni dati devono essere attentamente valutati prima di essere manifestati e espressi. Potremmo dire che la vita dà i doni all'eremita non perchè lui seguendo la logica comune li usi, ma perchè impari a rinunciarvi sempre più. Questo esercizio di rinuncia - che non deve essere applicata in modo assoluto - permette all'eremita di crescere nella logica del dono stesso, che non sempre deve essere usato, ma rispettato e lasciato come tale davanti a sè e alla città, ricordando che non è cosa loro. Assecondare il dono è possibile, ogni tanto, ma il riferimento deve comunque restare il rinunciarvi, proprio per non assecondare la logica della città: profittare sempre e subito, e di tutto quel che si può. Poter fare una cosa che si è in grado di esprimere e rinunciarvi, invece, diventa un segno di superiorità alla logica del profitto, e questo a beneficio della città e dell'eremita che si esercita in questo atteggiamento inaspettato, sorprendente, anche faticoso, ma che rivela sempre meno i doni e sempre più che i veri doni sono proprio e prima di tutto lo stesso eremita e la sua stessa città.