All'eremita della città tutto è sempre dato, ma niente è mai concesso. Nel senso che egli deve essere in grado di vivere in tutte le situazioni che avvengono in città, senza mai concedersi ad esse, fossero anche il meglio e l'ottimo per lui. Niente deve attaccarsi a lui, e lui non deve attaccarsi a niente, pur vivendo in tante cose, e in tutto ciò che gli passa accanto e tra le mani. Ma queste sue mani devono restare non solo pulite, ma soprattutto libere...anzi, libranti come fossero ali, per renderlo agile, leggero e libero nella pesantezza della grande città. Lui deve sbattere sempre le mani, per scrollare da esse qualunque cosa, qualsiasi situazione, ogni tipo di passione e di sensazione, ogni genere di affetto e di effetto. Sbattere le sue mani per essere in grado di volare sopra la città e custodirla, e individuarne le possibilità e i limiti, per evidenziare le emergenze e raggiungerle, per aiutare la città e chi vi abita a librarsi oltre i confini della stessa, e ad andare oltre, più avanti e più in alto. Sbattere le mani per essere libero e liberatore, per suscitare liberazione, per liberare tutto ciò che la città vorrebbe ogni giorno avere tra le mani, e possedere, e avere, e godere in se stessa. Sbattere le mani come ali per fornire l'energia adatta a superare la stasi della manualità fattasi idolo, della materialità fattasi peso, del consumismo fattosi dio. Sbattere la mani gratis, per amore e per avere in dono solo e sempre più la gioia di essere eremita della città e per augurarsi che la città possa avere una coscienza sempre in sintonia con ciò che l'eremita sta additando sbattendo le proprie mani.
MISCREDENZA
L'eremita non è affatto colui che crede, che ha fede certa e sicura, no. In città lui è chiamato a condividere la fede di chi crede e l'ateismo di chi non crede, a pari densità, in un equilibrio che è equidistanza dagli uni e dagli altri, mettendolo nella capacità di dialogare con entrambi e di aver a che fare in modo eguale e senza pregiudizi e distinzioni con loro. Ma anche l'identità dell'eremita in città, diversamente di quella dell'eremita nel deserto, richiede da una parte il credere come dubbio e non come certezza, e il non credere come possibilità sempre alle porte. Questa identità rispecchia pertanto la ricerca che nella città avviene ogni giorno, e ha bisogno di un appoggio sia nel primo come nel secondo caso. Avere tendenza verso la fede piuttosto che verso l'ateismo o viceversa farebbe perdere identità all'eremita e non avrebbe una piena sintonia con il sentire della città. Questa equidistanza equilibrante inoltre permette all'eremita di governare con umiltà ma con chiarezza il vivere umano, servendolo in un governo umile, accogliente, sincero e premuroso, aperto all'ascolto e senza il pregiudizio che sia il credente che l'ateo si portano appresso. Questa miscredenza è la vera e propria "governance" di cui ha bisogno la città e che richiede indirettamente all'eremita con la sua presenza, che altrimenti risulterebbe alquanto tetra, lugubre e passiva. Invece, con questa miscredenza umile e gioiosa, l'eremita aiuta la città ad essere in cammino sempre più verso la giustizia, la verità e la pace.
AMALG(AMARE)
L'eremita di città può avvalersi di una miriade di ingredienti e di un sacco di ricette, che recupera ad ogni angolo e ad ogni crocicchio delle vie. Tutte le occasioni della città vengono raccolte da lui in una grande marmitta invisibile ma efficacissima nel frullare e amalgamare e ridurre al nulla tutto, proprio tutto, anche quello che sembrava sicuro, assodato, impenetrabile e indistruttibile agli occhi della città. Ogni cosa che l'eremita incontra, nella quale si imbatte o con la quale combatte, deve essere al più presto calata in questa marmitta spirituale che riduce al nulla le cose che sono, per lasciare solo l'essere, l'identità in quanto tale, quella pura e vera: quella dell'eremita e anche quella della città. Senza questa operazione, l'eremita e insieme a lui anche la città si deformano sempre più, assumendo l'identità ora dell'una o dell'altra cosa, a seconda di quella che gli interessi mondani e economici fanno passare davanti agli occhi. In questa marmitta del nulla riparte il cammino quotidiano e rinnovante dell'eremita e della città, uniti e amalgamati nell'amare senza condizioni e ricatti, senza pretese e interessi. L'amalgamare fa apparire l'amare per quello che è, e non per quello che viene presentato falsamente e parzialmente. L'amalgamare ha come effetto di saziare l'eremita e la città di un cibo energetico prodotto con la sacralità di questo nulla che tutto fa crescere, alimenta e sorregge nella fragilità ma anche nella bellezza della fatica quotidiana dell'eremita e della sua città, amanti/amalgamanti in una simbiosi serena e equilibrata che ha il sapore di un preparato prelibato e sopraffino che in apparenza è un prodotto umano, ma in realtà è un dono divino.
VIBRAZIONE
Tutto ciò che vive nella città non possiede una qualità che solo l'eremita della città può dare: la vibrazione. In realtà, in città esistono i vibratori, ma solo per fare sesso e piacere a volontà e oltre ogni limite, cercando di dare senso e valore a quello che si ritiene capacità di fare amore, ma che manca in effetti dell'amore autentico. Proprio per questo, oltre gli strumenti vibratori per avere più sesso del dovuto e più piacere oltre ogni limite, ecco che l'eremita offre un altro tipo di vibrazione: quella del cuore, dell'animo e della mente, che poi si riversa, in modo autentico e naturale, equilibrato, anche nella sessualità. Dare una vibrazione alle tonalità dell'amore nei suoi vari aspetti, è compito onorevole e valevole oltre ogni cosa, e l'eremita lo sa, e con la sua presenza nelle varie situazioni della città alle quali è spesso invitato offre questa possibilità in dono. Far vibrare le situazioni, come fosse una corda di chitarra o di strumento simile, per far sentire il suono e l'armonia della musica del cuore. L'eremita vibratore non è più strumento, ma occasione di comunione con chi accoglie questa vibrazione e si unisce a lui per vivere in concerto tutte le azioni, i pensieri, le parole della città. Una città vibrante musica d'amore diventa allora la comunità umana, realizzando un concerto di sintonia prima ancora che di sinfonia. Così, l'eremita della città vibrante opera il miracolo del passaggio da usare uno strumento per far l'amore, a essere strumenti vibranti di amore quotidiano, per far crescere la città di vibrante fede, speranza, carità e soprattutto di umanità.
PULSANTE
La città è strapiena di cose e situazioni le più svariate e colorite, ma hanno un gran difetto: sono fredde, senza quel tocco sanguigno e vivo che contraddistingue le cose più antiche e nello stesso tempo le più moderne. L'illusione del luccichio e del brillare dei brillanti in tutti i sensi, che siano oggetti o personaggi, fanno della città un covo lugubre e freddo, una grotta in balia di pipistrelli, anche se, apparentemente, tutto sembra procedere al meglio, al massimo, a gonfie vele. Ecco a questo punto entrare in scena l'eremita, con un grande compito: quello di far pulsare tutte le cose o le persone che incontra, dando un tocco, facendosi proprio pulsante, accendendo il cuore delle realtà della città. Non è questione certo di quantità, di dare qualcosa in più, anzi, è semmai più urgente il togliere; è invece il tocco della qualità che l'eremita è chiamato a far pulsare come animo, spirito, senso e valore ad ogni realtà della città. L'eremita pulsante non solo accende, ma anche spegne, proprio a mo' di pulsante, ogni cosa, proprio per evidenziare di cosa la città sia priva, e quindi fredda e buia, e poi accende, per mostrare alla città quell'atmosfera che le necessita per procedere al meglio, all'ottimo, al bene di ognuno e di tutti. L'eremita è il cuore della città, e proprio come il cuore si fa sistole: si contrae e si fa piccolo e umile; e poi, come la diastole, si dilata: si apre a tutto e a tutti, in un'apertura di orizzonte, invitando anche la città a pulsare, ad essere come il cuore per questa nostra fredda umanità.
BIOPSIE
Ed ecco che l'eremita della città si avvale anche del sistema medico per analizzare e medicare le falle di questa umanità. Il suo agire infatti diventa un cogliere un particolare, come una cellula dell'agire o del pensare della città, per dargli il giusto potenziale o sistemarlo al meglio, come se lo curasse in salute. Il suo cogliere non è apprezzato certamente il più delle volte, anzi lo si insulta con un termine dispregiativo nel suo cogliere: "coglione", in quanto lo si vede come invadente e non rispettoso dell'agire della città. Ma questo suo raccogliere la biopsia dell'agire, del dire e del pensare della città lo fa essere un raccoglitore della realtà, per renderla migliore, per curarla e per darle la giusta direttiva e il valore adeguato. Proprio come nel caso di un medico non compreso e disprezzato, ma che comunque cura al meglio, così l'eremita della città pone in atto un cammino di progresso umano, spirituale e sociale che rigenera anche il tessuto malato di questa società. Per cogliere queste biopsie, chiaramente occorre all'eremita uno sguardo attento e un occhio penetrante, resi possibili grazie agli strumenti che proprio il progresso della città fornisce a chi è alla ricerca. Questa ricerca, chiaramente, per l'eremita ha il senso contrario a quello che cerca la città, e proprio per questo, oltre a non essere subito compresa, appare come l'opera più rivoluzionaria e rinnovante che la città non sempre è in grado di accogliere.
SCROSTATINE
La città pur con tutte le sue modernità e il suo progresso appariscente in realtà si trova rivestita e racchiusa in una sorta di calcare spirituale e disumanizzante che la soffoca e la tiene strettamente prigioniera e impossibilitata a rinnovarsi. Proprio per questo il compito dell'eremita di città è quello di scrostare a poco a poco e con pazienza e meticolosità questa rocciosa corteccia, per far riemergere e respirare l'umanità racchiusa sotto queste mentite spoglie. Piano piano, crosta dopo crosta, ponendo in essere preziose e efficaci pensieri, parole e azioni, l'eremita passa e dà il tocco del restauratore e del rinnovatore, togliendo polvere e incrostazioni che non permettono alla città di vedere e di essere vista per quella che è. Un'azione meticolosa e particolarmente minuziosa, che richiede attenzione, delicatezza, rispetto e pazienza, soprattutto pazienza. E' anche, in questo senso, un tocco sul vivo, e non più in superficie, e al momento la città con il suo involucro che in tanti anni si è fatto solido e impenetrabile resiste e rifiuta tale azioni, in nome di una tradizione da difendere e di un "si è sempre fatto così, perchè cambiare?". Ma l'eremita non si deve arrendere, sapendo di fare cosa non certo piacevole e gradita, ma di effetto salvifico, valevole e rinnovante, proprio come nel caso di un'operazione chirurgica. Scrostare pian piano la superficie della città farà apparire ed emergere una nuova umanità.
CENTELLINATORE
Nel grande imbuto della città si riversano ogni giorno pensieri, parole e azioni d'ogni genere, riempiendo e facendo traboccare tutto il contenuto che abbonda senza limiti e sempre più senza regole e senza senso. Di fronte a questa situazione l'eremita della città è chiamato a centellinare quello che uscirà allo sbocco finale, tenendo lo sguardo attento e prudente per non far passare ciò che non deve, e magari vorrebbe essere travasato nell'umanità. Centellinare con saggezza facendo passare pian piano il contenuto della città, affinchè si effonda in misura equilibrata nell'umanità, e non sia mai forza bruta e travolgente ogni situazione. L'eremita centellinatore deve gustare e far gustare la legge, il senso, l'ordine e l'equilibrio del vivere in città, partendo dalla propria esperienza di vita serena e semplice, ordinaria e quasi nascosta e impercettibile, proprio come se stesse centellinando il miglior liquore di vita per sè e per tutti. Mentre la città riversa a iosa e più che può, l'eremita attende e con parsimonia fa scendere sulla città le gocce spirituali della fede, della speranza e dell'amore, perchè ci si possa ritrovare attorno a quel poco ma prezioso nettare divino della saggezza data in dono e riscoprire il vivere umano e umanizzante. Lo sguardo dell'eremita sulla città non si espande più di tanto, ma si raccoglie attorno a quelle uscite impensate e sorprendenti, diremmo anche miracolose, che proprio nel marasma della città non tendono ad affondare, ma ad emergere per essere raccolte, accolte e gustate dall'eremita e da chi con lui si fa centellinatore del succo e del concentrato che la città in modo inconsapevole espellerà da sè come letame, ma da cui rinascerà il fior fiore della città.
DALL' OPPOSIZIONE ALLA COMPOSIZIONE
L'eremita di città è, alla fin fine, un grande compositore. Sì, un artista: a questo è chiamato. La città infatti è densa di tante cose e situazioni che vanno sempre più in opposizione, si scontrano e non si accordano. L'eremitaggio del deserto non ha questa dimensione proprio per la mancanza di tutte queste occasioni, mentre l'eremita di città è chiamato a comporre, ad armonizzare, a far dialogare, a mettere in sintonia, a creare intese e occasioni di dialogo. La forza dell'opposizione creata nella città dalla mentalità del materialismo e del consumismo a volte si nasconde dietro la facciata della piacevolezza dello stare insieme, dell'allegra compagnia e dei ritrovi del godere in tutti i sensi e in tutti i campi. Ma dietro questa facciata si nasconde il potente egoismo di fondo che tutto regola e in base al quale ogni volta che non viene esaudito, può creare esplosioni e situazioni oltre ogni ragionevolezza, e delle quali ci si meraviglia: come è stato possibile, se tutto stava andando bene?...L'eremita componendo le situazioni anche diverse e contrastanti, a mo' di un puzzle, mette assieme saldamente anche le diversità e le collega in un percorso armonico e che rivela un misterioso ma unico e amorevole disegno: quella di una vita superiore che si dà in dono, attraverso l'eremita, per la serenità di tutta quanta la città.
CREATORE DI PERCORSI
L'eremita di città, a differenza di quello del deserto, è impegnato in un compito assai arduo e pericoloso, ma anche molto proficuo e maturante per lui e per la città: creare percorsi che non incontrino luoghi di falsità, di inganno e di tentazione, nei quali il cammino venga bloccato e inaridito. Trovare le vie adatte a percorrere in serenità i passi vitali e arricchenti è un esercizio che spesso non trova successo, ma l'eremita non deve scoraggiarsi mai, anche di fronte alle sconfitte e alle sbandate che può subire, riconoscendo con umiltà il proprio essere fallace ma anche con la coscienza di essere chiamato alla battaglia per la vita di se stesso e della città. Percorsi mortali e tranelli ad ogni via potrebbero indurre l'eremita a rinunciare alla propria vocazione, ma ad ogni sconfitta corrisponde, se c'è la coscienza umile, un raggio di luce e di speranza dal quale riprendere il cammino, come fosse il bandolo di una matassa. Inoltre, la coscienza umile rende cosciente l'eremita di essere chiamato ad essere un creatore, un artefice, un artista di luce; senza esaltarsi, questo compito lo farà essere faro e riferimento là dove i suoi passi lo conducono in quelle vie e crocicchi delle strade anche le più malfamate della città. Ma una volta superato il pericolo da parte sua, sarà anche esempio e possibilità per chi lo incontra di affrontare con più serenità e energia le prove della vita, offrendo così alla città un barlume di luce da seguire nei percorsi umani, sociali, economici, spirituali, personali, famigliari, politici. Un creatore ricreatore attorno a sè, ecco a che cosa viene chiamato in questi percorsi l'eremita di città.
A CACCIA DEL NULLA
In una città dove c'è praticamente di tutto, l'eremita ha il compito di cercare il nulla nascosto tra le pieghe delle apparenze e delle appariscenze, tra le luci e gli sfarfallii che lo nascondono agli occhi di tutti. Il nulla va estrapolato, rivisitato e reintrodotto nella situazione in modo che animi con lo stile della gratuità e della purezza originale ogni situazione. Per questo occorre che l'eremita della città sia sempre consono al nulla, cercando di togliere da sè tutto ciò che gli impedisce di avere questa sintonia e questo sguardo penetrante non filtrato dagli interessi di passaggio. Un nulla stabile, puro, integro e imperturbabile, equilibrato in una sorta di piumaggio che ondeggia delicatamente sull'atmosfera cupa della mentalità della città. Ma per far questo l'eremita deve togliere da sè il più possibile ciò che non si addice a questa vitale nullità, imparando a distinguere il niente di fatto, destinato a rimanere tale e quale, dal nulla che dà vita e energia benefica al vivere della città, umanizzandone gli aspetti anche i più impensati e reconditi. In tal senso potremmo paragonare l'azione dell'eremita a un esercizio di caccia, sostenuto dalla pazienza, dall'attesa, dall'ascolto e dallo sguardo lungimirante. L'obiettivo è il nulla, che una volta colpito, si apre a grappolo emanando luce, brillantezza, sapore e saggezza, sorpresa e umanità per l'eremita e per la serenità di tutta la città.
IN BALIA DEGLI ABISSI
L'eremita in città ha a che fare con rapporti umani che lo provocano per creare più umanità ed evitare la disumanizzazione della socialità quotidiana. Nella città si creano sempre più abissi tra persone e situazioni, tra generazioni e situazioni, e l'eremita è invitato a ricreare legami, a ridurre gli abissi, attraverso la sua opera di comunione e di relazione. Una attenzione a evitare le separazioni e dare occasioni per unire ciò che la città isola e separa. L'eremita deve avere attenzione al suo percorso, in quanto sul suo cammino può riscontrare crepe e fratture che lo farebbero cadere nell'abisso della situazione. Sprofondare è facile, e seguendo la logica della città, è anche bello. Ma è illusione, droga e palliativo, mentre la realtà fa allontanare sempre più il povero dal ricco, in ogni settore, anche in quello religioso, in quanto buono e cattivo, in una distinzione creata ad hoc dalla città, mentre nella natura umana sarebbe utile recuperare la comunione, la condivisione e la compassione. L'eremita in città riavvicina la frattura abissale attraverso la coscienza della povertà e anche della ricchezza alla luce non di se stessi, ma della vita come dono e richiamo alla scelta, nel presente, pro o contro se stessi, e quindi all'altro e alla città. Quello che l'eremita richiama è che ognuno, in base alla scelta della coscienza di quello che è, può generare o sanare abissi e fratture, a scapito o a salvezza di ognuno e della città.
SCONFITTE VINCENTI
L'eremita in città avrà un percorso pieno di sconfitte, insieme a rari successi. Che non si inebrii di questi, ma faccia tesoro delle sconfitte come vie maestre per l'umiltà e la ricerca del vero romitaggio. La città provoca continuamente l'eremita e gli mostra le vie del piacere, del potere e del godere, e non altro. Ma queste illusioni e tentazioni se assecondate porteranno l'eremita ad assuefarsi alla città, perdendo il suo mordente e la sua profezia. Da una parte, accettare le sconfitte è segno di umiltà e di crescita; dall'altro il non condividerle, è segno di maturazione e di affidamento a una storia sopra quella umana: alla storia del regno superiore, non in mano d'uomo, ma del mistero della vita. La vita in città da una parte sconfigge l'opera dell'eremita facendogli sperimentare la propria pochezza, dall'altro proprio in questo gli presente la possibilità di affidarsi in toto all'opera di una realtà superiore alla città. In questo senso, tutte la sconfitte che l'eremita subisce nel suo percorso in città non lo annienteranno affatto, anzi lo forgeranno a immagine della vita stessa vincente sopra ogni altra situazione. La città, pur con tutte le sue piacevolezze e prelibatezze potrà indurre in tentazione l'eremita in qualche occasione, ma non riuscirà mai a renderlo suo suddito, essendo lui con una coscienza superiore atto a ritornare sempre alla fonte dell'umanità, alla sorgente della verità, da dove, con l'umiltà dello sconfitto, potrà sempre testimoniare la vittoria della vita su se stesso e sulla vita di una città redenta.
PICCOLE COSE
Piccole cose sono quelle che devono guidare l'azione dell'eremita in città che vuole far crescere se stesso in essa, e essa attraverso se stesso. Non lasciarsi prendere dalle grandi cose che la città offre tutto e subito, ma intravedere e intercettare il profondo messaggio del cuore della città che sta dietro l'apparenza e l'appariscenza, e si trova proprio nelle piccole cose da scovare, da far emergere, da far rivivere. L'eremita della città pratica allora una specie di "maieutica", come l'ostetrica che aiuta al parto. Lui è chiamato a far uscire quelle piccolezze che nascono in città, crescono, e aiuteranno al progresso dell'umana convivenza. Per questo l'eremita della città, pur immerso in tante grandezze, deve imparare anzitutto a convivere con l'essenziale e a scegliere le piccole cose per la sua esperienza di romitaggio. Lasciarsi affascinare da esse e non dalle luci della città è il percorso fondante e fondamentale per se stesso e per tutti. Piccole azioni, parole e pensieri che vengono aiuti a uscire alla luce, nel buio disumanizzante della città di oggi. L'eremita rivoluzionario, profetico e salvifico parte proprio da qui: dal basso, dall'humus, dal piccolo, dal nulla di fatto, dall'apparentemente inutile, per rivestire di senso, di amore e di speranza tutto quanto la città non era più capace di generare.
ALLENTAMENTO E RALLENTAMENTO
Un compito importante per l'eremita della città - che non ha invece quello nel deserto - è quello di allentare le tensioni e le ansie, le angosce e le preoccupazioni che lui incontra per le strade e nei ritrovi della gente. Come nodi da sciogliere, le situazioni della città richiedono all'eremita di rendere più vivibile la situazione che impedisce di respirare, di vivere e di amare in modo naturale e armonioso. Un compito delicato e che richiede uno sguardo attento e un coinvolgimento rispettoso e premuroso. Accanto a questo primo compito c'è quasi a gemello quello di rallentare i percorsi della città che invece tendono sempre più alla fretta e alla fuga dal rapporto umanizzante. L'eremita è chiamato in città - nel deserto questo non serve - a procedere con la calma, l'attenzione e la considerazione condivisa specie a partire da chi è succube di questa logica della città. Stiamo parlando dei più deboli e fragili, dei più dimenticati ed esclusi dal procedere della logica del "mordi e fuggi", che proprio per la consumazione frettolosa delle realtà, non ha tempo nè considerazione per questi soggetti. Ma proprio a partire da essi l'allenamento dell'eremita all'allentamento e al rallentamento dei percorsi di vita troverà accoglienza, ascolto e condivisione, e alla fin fine anche un seme di speranza e di serenità per una città più a misura d'uomo.
TENTAZIONI DELLA CITTA'
Nella città l'eremita viene vagliato da miriadi di tentazioni e occasioni di ogni genere. Resistere non sempre è facile, anche perchè il ritorno al passato della vita dell'eremita non contiene solo rose e fiori. La tentazione della città rivela all'eremita che tale vuol rimanere e non soccombere le sue fragilità, i suoi limiti, e così lo aiuta ad essere umile, quando egli pensava di procedere nella via della santità e dell'umiltà. Ogni occasione accolta rivela il limite ma anche la nuova opportunità per l'eremita di recuperare in città l'essenziale e non lasciarsi sviare dalle distrazioni. Nel deserto queste distrazioni non ci sono affatto; per questo la città è molto più attraente e calamitante nelle peccaminosità. Essere eremita nel deserto è valido e efficace, ma nella città il valore e l'efficacia aumentano del 100% a causa delle distrazioni e delle occasioni, che se superate, ottengono un valore superiore certamente alla vita dell'eremitaggio nel deserto. La città, dunque, ha molte tentazioni e provocazioni che il deserto non ha. Ma se vengono superate in città le prove valgono molto, molto, molto di più che non fossero nel deserto. La città tenta di più, ma ha anche molte più occasioni per entrare nell'essenziale e nell'identità del romitaggio vero e valido, oggettivo e non soggettivo, come potrebbe invece succedere all'eremita che sta nel deserto. L'eremita nel deserto ha meno occasioni per peccare, ma anche meno per crescere; l'eremita in città ha svariate occasioni per peccare, ma anche per valutare meglio la sua vocazione e la sua identità a favore di se stesso e della stessa città.
TU SEI MIGLIORE DI ME!
L'eremita in città ha occasioni per combattere a migliaia ogni giorno, ma non cederà mai a battagliare con gli altri, se non con se stesso. Anzi, la sua tattica sarà sempre quella di dire, in ogni occasione che incontra, sia buona che cattiva, sia nel bene che nel male: "Tu sei migliore di me!". Questa tattica accresce l'umiltà energetica e benefica dell'eremitare in città, dà tono e spirito alla stessa, e tonifica anche chi viene incontrato e vagliato da lui. Nel deserto, queste occasioni non ci saranno mai. In città, inoltre, appaiono all'improvviso, a sorpresa, e fanno capire all'eremita che occorre esercizio di pazienza e di saggezza, senza scoraggiarsi di fronte al riconoscimento delle prime sconfitte. La superbia vorrebbe sempre avere la meglio, specie nelle miriadi di situazioni nelle quali l'eremita sa con consapevolezza di essere superiore alla situazione. Ma deve abbassarsi, fare quell'atto di umiltà di fronte alle cose, alle situazioni e alle persone che gli fanno da specchio per riflettere e agire non con superiorità, ma traendosi umilmente indietro, a mo' di elastico, ricevendo quindi in questo atto umile l'energia necessaria per crescere nella coscienza di essere sempre più adatto al romitaggio. E anche quando nella caotica città lui potrebbe incontrare qualcuno che abbandonasse a terra e non raccogliesse la cacca del suo cane, l'eremita, osservando quella fece del cane, attento a non calpestarla, dovrebbe comunque imparare a dire sempre e sempre con spirito di sincerità: "Tu sei migliore di me!".
RUMORI E SILENZI
Nella città ogni rumore può essere un richiamo, mentre nel deserto può avvenire che ogni silenzio possa diventare un disturbo all'eremita. Lo spirito con cui affrontiamo rumori e silenzi ci fa essere in grado di crescere o di disperderci nella ricerca dell'identità eremitica. In città c'è il rumore delle campane che ci richiama alla preghiera, ma non dimentichiamo che i rumori fastidiosi per noi sono anche i più atti al confronto, alla calibratura, all'allenamento della pazienza e della sopportazione, sono prove di una palestra d'animo che rafforza cuore e mente, mentre altri suoni e rumori non fanno che passare oltre. Il richiamo della contrarietà ci obbliga a essere veri, a rimanere nell'equilibrio mentre potevamo cedere all'ira, all'ansia, alla fretta e alla fuga dalla situazione. Per questo la città rumorosa racchiude, se abbiamo lo sguardo per coglierlo, il tesoro prezioso del romitaggio umano. Il deserto, se da una parte col suo silenzio concilia il meditare, rischia anche, se non affrontato con lo spirito adatto, di diventare disturbo e distrazione dal raccoglimento, accrescendo invece la tensione alla concentrazione, quindi impedendo di fatto il cammino verso la ricerca dell'identità dell'eremita. A volte il silenzio, se non ci sono grilli per la testa, attesta soltanto una testa vuota. Avere a che fare con i grilli ci fa essere capaci di confronto, valutazione saggia e ascolto di tutto ciò che ci passa per la testa, soppesandone il valore per la crescita del nostro essere sempre meglio eremiti a partire da quella città caotica che è la nostra mente.
EREMITA CALAMITA E NON IN USCITA
La tentazione dell'eremita è quella di uscire da una situazione, ad esempio dalla città, per andare a vivere nel deserto, o in campagna, o sulla montagna,... Ma queste uscite da sè non fanno altro che svuotare il sè, e non accrescere affatto l'identità e la vocazione al romitaggio, anzi svalorizzandolo, mascherandolo, addolcendolo e fornendolo di tanti e tanti artifici che fanno essere anche il luogo più ameno covo del caos estremo. La preoccupazione di portare il messaggio e di esprimere a volte prevale a tal punto che, incontrando qualcuno che sta facendo questo tipo di esperienza eremitica, il vero eremita si rivela non quello che esprime e parla e racconta a iosa la sua esperienza, ma l'altro, quello che casualmente o di passaggio lo ascolta con pazienza e - diciamolo pure - con una certa sopportazione e delusione. L'eremita in uscita, in questo caso, si sta svuotando di sè, scaricando sull'altro quello che certamente non ha realizzato. L'eremita di città attrae, attende, calamita, paziente, non è insofferente, non ha fretta, non accetta subito nè subito ascolta: prima vaglia. Perchè la città gli riversa addosso tante e tante di quelle cose, che dovrebbero soffocarlo, se lui cerca di uscirne, come fosse da una palude. Invece, lui fa da filtro, fa passare in sè e da sè tutto quello che la città gli invia, trasformando così anche la città in una calamita di energia eremitica.
EREMITA DEL TUTTO E NON SOLO DI UNA PARTE
Il rischio di un eremita di città è quello - tra altri - di fermarsi a vivere anche a lungo ma nella parzialità della città, non vedendo nè vivendo oltre quella esperienza. Per assurdo, anche il deserto è vivibile solo come una parte, anche se esteso, e non vedi oltre quello, proprio come per l'esperienza in città. Ma se quando vien meno l'esperienza del deserto sei fritto come eremita, perchè non hai altro, il venir meno della dimensione cittadina con i suoi disparati elementi ti apre - come fossero tante finestre - a vedere oltre e a sperimentare più ampiamente il tuo vivere in solitudine. Perdere il deserto è perdersi, perdere la città è guadagnare il deserto e anche oltre. Il tuo deserto pur infinito, proprio perchè è per te, si riduce a una parte di te. La città, finchè ci stai e ne fai parte, ti riduce a se stessa, ma nel suo venir meno a te ti apre alle novità. Diciamolo in altro modo: se vai a vivere nel deserto abbandonando la città, esso si farà sempre più a immagine del tuo essere eremita limitato e chiuso in quella parte che hai scelto tu. Se stai a vivere come eremita in città, tutto quello che ti viene sottratto in essa o da essa non farà altro che dare a te la possibilità di fare deserto oggettivamente e per quello che il deserto è in se stesso e non in te. Al di là del deserto troverai sempre una città che ti ammalierà e ti deformerà, al di là della città troverai sempre un deserto che ti formerà e riformerà non a tua immagine, ma alla sua. Per questo il miglior eremita non fuggirà mai se sta in città.
"MIRA E AMMIRA IL TUO PECCATO"
L'eremita della città non deve mai combattere il peccato, come invece fa l'eremita del deserto. Infatti nel deserto emerge il combattere con se stessi, mentre in città appare sempre e sempre più spesso che occorre combattere di fronte all'altro e con le altre cose. Ma lo stile combattivo in città parte da uno spirito positivo: mira e ammira il tuo peccato, o l'altro che ti è contrario, o la passione peccaminosa. Non andargli mai contro, perchè non faresti altro che generare altra passione, maggior energia di lotta e non faresti altro che dare al peccato e alla situazione contraria più peso e più valore. Metti invece davanti a te quello che ti passa la città, osserva, mira e ammira quella situazione sian cose o persone. Facci la meditazione paziente indicando, additando, contemplando, sciogliendo in essa le tue emozioni, ansie e passioni contrarie...il tuo peccato, insomma. Sono proprio le situazioni contrarie a te a dartene l'occasione (ciò che non avviene all'eremita del deserto); e tu, fai di ogni occasione un oggetto di meditazione. Sono le occasioni contrarie che ti affinano l'identità del tuo essere eremita della città. Sono loro i tuoi maestri, e tu sei il loro discepolo. Se hai un vizio peccaminoso, immaginalo e non scacciarne il pensiero: stacci sopra e attendi che si rassereni vagliando la tua ricerca di identità. Se hai una persona contraria o che ti fa soffrire in gelosia e invidia, prega su di lei e immaginala davanti a te, non scacciarne il pensiero come tentazione. Ogni contrarietà o tentazione per l'eremita della città porta così a una gestione del cuore, della mente e dell'animo, portando così alla soluzione di qualsiasi situazione.
IL VERME DELLA PRIMA MELA
Come è vero che il verme in città serpeggia astuto e veloce più del grande e goffo serpente del peccato originale, così la piccola prima mela è oggi la grande mela della città. Comprendiamo bene come siano enormemente maggiori i risultati del verme rispetto a quel serpente. Questo, allora grande per una piccola mela, quello piccolo e in grado di ficcarsi in ogni dove nella grandezza della grande mela/città. Per l'eremita in un deserto il grande movimento del serpente è avvertibile e allontanabile facilmente; ma per l'eremita della città del caos, il piccolo verme sgaiattola invincibile e impercettibile a chiunque. Per questo l'eremita della città non deve mai seguire la logica della città a farsi grande, ma proprio quella del verme - per combattere alla pari - e farsi piccolo. Mai seguire la logica del fare, o del sentirsi inutili nel perder tempo, o nel disprezzare la follia che pare non ragioni, o l'ozio che non porti a un negozio...invece, sono proprio queste le armi vincenti della piccolezza del verme...e anche dell'eremita della città, che lo rintraccia con lo sguardo penetrante in ogni dove della grande mela. Non aver paura del vuoto...perchè lì non si andrà mai a nascondere il piccolo verme; aver paura invece delle piccolezze e delle migliaia di artifizi della città, perchè il verme trionfa e regna. E lì l'eremita svuotato della grandezza della grande mela raccoglierà il suo frutto: una mela al giorno, simbolo della sua guarigione e salute spirituale, umana e speranza per tutta quanta la città. Il verme solitario dell'eremita in città sconfiggerà allora il verme della grande mela.
ERODE(RE) E' IL MEGLIO...