MISCREDENZA

L'eremita non è affatto colui che crede, che ha fede certa e sicura, no. In città lui è chiamato a condividere la fede di chi crede e l'ateismo di chi non crede, a pari densità, in un equilibrio che è equidistanza dagli uni e dagli altri, mettendolo nella capacità di dialogare con entrambi e di aver a che fare in modo eguale e senza pregiudizi e distinzioni con loro. Ma anche l'identità dell'eremita in città, diversamente di quella dell'eremita nel deserto, richiede da una parte il credere come dubbio e non come certezza, e il non credere come possibilità sempre alle porte. Questa identità rispecchia pertanto la ricerca che nella città avviene ogni giorno, e ha bisogno di un appoggio sia nel primo come nel secondo caso. Avere tendenza verso la fede piuttosto che verso l'ateismo o viceversa farebbe perdere identità all'eremita e non avrebbe una piena sintonia con il sentire della città. Questa equidistanza equilibrante inoltre permette all'eremita di governare con umiltà ma con chiarezza il vivere umano, servendolo in un governo umile, accogliente, sincero e premuroso, aperto all'ascolto e senza il pregiudizio che sia il credente che l'ateo si portano appresso. Questa miscredenza è la vera e propria "governance" di cui ha bisogno la città e che richiede indirettamente all'eremita con la sua presenza, che altrimenti risulterebbe alquanto tetra, lugubre e passiva. Invece, con questa miscredenza umile e gioiosa, l'eremita aiuta la città ad essere in cammino sempre più verso la giustizia, la verità e la pace.

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